CON LA PROPOSTA DELLA REGIONE DEL VENETO ALTRE 77 MILA ATTIVITÀ ECONOMICHE RIAPRIREBBERO. IL PRESIDENTE MARIO POZZA: SE NON RIAVVIAMO LA NOSTRA ECONOMIA PERDIAMO COMPETITIVITÁ E RISCHIAMO DI FINIRE IN MANI STRANIERE
Venezia, 21 aprile 2020| Come è già stato evidenziato, alla luce dell’ultimo Dpcm 10 aprile 2020 (sulla base del codice ATECO prevalente), si stima che il lockdown in Veneto assume sulle unità locali (cioè l’insieme delle sedi e delle filiali presenti nel territorio regionale) i seguenti connotati: oltre 252.000 (il 47,1% del totale) possono svolgere la propria attività. Questo significa che su un totale di 1,5 milioni di occupati alle dipendenze nel territorio veneto, circa 800.000 possono in teoria ripresentarsi ai cancelli (il 55% del totale).
Con le nuove richieste del Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, per la riapertura dei settori moda, servizi alla persona, edilizia privata, sollevate a seguito del tavolo di concertazione delle categorie economiche lo scorso 17 aprile, il quadro potrebbe cambiare. Secondo i dati elaborati dal Centro Studi di Unioncamere del Veneto la quota di unità locali che sarebbe ammessa a svolgere le proprie attività salirebbe al 61,4% e quella di occupati dipendenti al lavoro al 63,4%. Questo contesto permetterebbe, rispetto al Dpcm del 10 aprile, di avere circa 77.000 unità locali in più che riaprono l’attività, a cui fanno riferimento 122.000 occupati alle dipendenze in più che teoricamente potrebbero tornare al lavoro.
Il presidente di Unioncamere del Veneto, Mario Pozza, commenta così i dati: “la proposta della Regione del Veneto è una richiesta seria ed affidabile a favore della riapertura in sicurezza. Si tratta di una soluzione su cui gli attori del sistema economico regionale si sono trovati allineati e compatti perché siamo consapevoli che tenere chiuso sta diventando un problema enorme anche per le ripercussioni sociali che rischia di innescare. Al Governo chiediamo chiarezza e velocità nelle scelte e non task force che allungano il processo ed alla fine non elaborano alcuna decisione o strategia se non quella rimandare la ripresa della produzione. Il fattore tempo è determinante perché ogni giorno che passa perdiamo fatturato, competitività e posti di lavoro”.
I dati percentuali elaborati dal Centro Studi di Unioncamere del Veneto oscillano ovviamente in base ai settori. Resterebbe comunque ancora piuttosto penalizzato il manifatturiero: nel complesso solo il 51,5% delle unità locali nel territorio avrebbero la possibilità di operare (e il 50% dei dipendenti del comparto). Rimane ferma l’industria del mobile (4.600 unità locali, oltre 26.000 addetti), e una buona parte della metalmeccanica (al netto dei macchinari per l’agricoltura e per l’industria alimentare, della produzione di computer e di elettronica, di altri beni o lavorazioni considerati funzionali alle filiere ammesse ad operare). Su un totale di circa 230.000 dipendenti nel comparto metalmeccanico in Veneto è stimabile, sulla base del decreto, che solo un quarto sia collegato ad attività assentite. Ma la stima potrebbe essere in difetto, laddove le imprese possano dimostrare di operare a ciclo continuo, come ad esempio nella metallurgia. Un terzo delle unità locali del commercio rientra fra le attività ammesse dal dpcm: ciò permette al 48% dei dipendenti del settore di restare operativi, cui si collega oltre la metà degli occupati alle dipendenze.
“Ci sono settori che vanno riaperti con assoluta priorità come il mobile, la moda, lo sport e soprattutto l’edilizia che dopo aver perso il 50% di imprese nella crisi del 2008 rischia di subire un altro duro colpo. E proprio l’edilizia se non riparte potrebbe perdere la manodopera straniera che sta tornando nei paesi d’origine. In questo contesto di dilatazione dei tempi il rischio è che le imprese, quindi, si trovino senza manodopera alla ripartenza per quei lavori che gli italiani hanno abbandonato. È questo uno degli aspetti che ha ricadute sul vissuto quotidiano delle imprese che la task force non riesce a comprendere perché al suo interno non c’è la voce delle piccole medie imprese che sono il cuore pulsante del sistema economico del Veneto”.
“La riapertura è necessaria perché le nostre aziende altrimenti rischieranno di finire in mani straniere e perderemo così marchi che fanno parte della storia imprenditoriale del Veneto e del Paese. Stiamo togliendo il futuro al nostro sistema economico ed ai nostri giovani che si ritroveranno imprese in mano a player stranieri che non avranno radici, tradizioni e competenze nei nostri territori. Un rischio enorme perché vedremo sradicato dal Veneto un tessuto imprenditoriale che è la locomotiva del Pil nazionale”.