Padova, 3 febbraio 2015 – La battaglia contro l’insediamento di quello che lo stesso Fernando Zilio ha definito un “hub” dell’illegalità cinese fa data ormai da diversi anni. Aveva cominciato a denunciare la diffusa allergia alle regole da parte della comunità cinese fin da quando, presidente dell’Ascom Confcommercio di Padova, aveva attivato con le istituzioni e la Guardia di Finanza un’iniziativa sfociata poi nel cosiddetto “Protocollo Padova”, un’azione combinata che ha dato il “la” a numerosi sequestri di prodotti contraffatti e pericolosi.
Un’azione continuata da presidente della Camera di Commercio padovana e, adesso, anche da presidente di Unioncamere Veneto grazie all’apporto scientifico del Centro Studi che, non più tardi di due mesi fa, ha evidenziato i rischi e i danni all’economia locale causati dal commercio orientale.
«Quello che i dati dell’ufficio studi di Unioncamere del Veneto ed i libri del giornalista Antonio Selvatici hanno evidenziato – dichiara Zilio -, ovvero la presenza di una “saldatura” tra i cinesi presenti nel territorio veneto e la malavita organizzata, trova oggi ampia conferma nell’indagine della Direzione antimafia di Venezia che ha portato al sequestro di un patrimonio immobiliare di 130 milioni di euro in capo ad una società che, sospettano gli inquirenti, sia funzionale al riciclaggio di denaro legato alla camorra e ad ex affiliati alla Mala del Brenta e che, guarda caso, è titolare dei capannoni di via Cile, dove trovano spazio una quindicina di negozi gestiti da commercianti cinesi che teoricamente dovrebbero vendere all’ingrosso, ma nella pratica, come più volte hanno dimostrato i “blitz” che abbiamo compiuto in altre strutture presenti nella zona industriale di Padova, vendono a tutti senza emissione di scontrini né di fatture».
Lo studio I conti che non tornano. Un bilancio della presenza cinese in Veneto